Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione.
(Papa Francesco, GE 26)
Francesca Pedrazzini nasce il 24 gennaio 1974 a Milano.
Dal carattere forte e dall’umorismo spiccato, Francesca conduce una vita normale, fatta di famiglia, casa, scuola, parrocchia. Ama disegnare, leggere e stare con gli amici.
Frequenta il liceo scientifico VIII a Milano dove incontra l’esperienza di Gioventù Studentesca e vi partecipa attivamente.
Dopo il diploma, si iscrive a Giurisprudenza alla Cattolica dove instaura numerose amicizie che dureranno tutta la vita e dove continua il suo impegno attivo ed entusiasmante in Gioventù Studentesca.
Francesca vive tutto con grande intensità. Ricorda una sua amica: “La vita della Franci si è sviluppata sempre per superlativi assoluti. Era tutto “issimo”, nel bene e nel male. Molto più nel bene. […] Si entusiasmava delle cose, sempre. Ma non era superficialità né una questione di temperamento: era la sua tensione. Desiderava essere felice in tutto. Pure nel piccolo particolare”.
In università, Francesca incontra Vincenzo. Si innamorano e il 7 dicembre 1995 si fidanzano. Ricorda Vincenzo: “Francesca aveva un modo di vivere, una passione irrefrenabile per le cose e per la vita, che volevo condividere”.
Gli anni passano tra feste, vacanze, compleanni. Il 15 aprile 1998 Francesca si laurea, l’anno seguente si laurea Vincenzo e il 9 settembre 2000 si sposano. Dopo due anni nasce Cecilia, seguita da Carlo e Sofia.
Nel frattempo, Francesca diventa insegnante di diritto alle superiori, scoprendo così la sua vera vocazione lavorativa: si immerge con tutta se stessa in questa nuova esperienza, conquistando tutti, alunni e colleghi.
Francesca cerca la felicità ovunque, si rapporta con le cose e con le persone in modo profondo e allegro insieme. È una donna come tante altre, con i suoi sogni e i suoi problemi.
A metà febbraio 2010, di ritorno da una vacanza con la sua famiglia, Francesca avverte un fastidio al seno destro. È un tumore, piccolo, ma che deve essere asportato. Subito la stanza dell’ospedale si riempie di parenti e amici. Francesca è sopraffatta da così tanto affetto.
L’operazione riesce bene. All’inizio della primavera successiva i medici comunicano a Francesca: “Complimenti, è guarita”. Francesca scrive riguardo alla malattia: “È stata un’esperienza importante per me, mi ha fatto capire quanto ho bisogno di tutto, tutto, persino del mio corpo, che consideri sempre come tuo ma evidentemente non lo è, e di quanto sono un bisogno. Ho vissuto tutto serenamente, sperimentando che davvero siamo sospesi su un pieno su cui possiamo appoggiarci, e non su un vuoto o un dubbio, e questo, nel momento della prova, è molto evidente, perché quando hai paura le tue forze vengono meno e quindi ti accorgi di più che la tua forza è un Altro, cioè se sotto hai un materasso su cui riposare o non hai niente. Non sarebbe stato possibile senza tutto quello che ho vissuto prima, è stata una grande verifica della fede che regge rispetto alla vita. Comunque non mi sono mai sentita una sfigata, ma semmai una preferita. Penso sempre ai dieci lebbrosi, a non essere come i nove che non sono tornati indietro perché la guarigione a loro è bastata. Ma prego sempre di essere come il decimo, che è tornato perché ha capito che la Sua presenza era un dono molto più grande dell’esser guarito. Se no a cosa vale l’esser guariti? Tanto non è che ti va sempre bene e comunque tra cent’anni non ci siamo più… è troppo chiaro che la vita è una chiamata. Non me lo voglio dimenticare questo periodo, nonostante l’invito di tanti a distrarsi, a dimenticare… Invece no. La vita è proprio un’altra cosa. È guardare fino in fondo la circostanza fino a scorgere nel suo fondo il Volto di chi ti chiama… Anzi, io mi cruccio di essere già distratta! Mi sono resa conto che devo rimettermi al lavoro con più energia di prima, perché niente ti garantisce, neanche una sberla così, serve tutta l’energia della mia libertà per vivere davanti al Mistero”.
Francesca riprende così la sua vita normale, fatta di famiglia, lavoro, amici e vacanze.
Tutto fila liscio, anche gli esami di controllo a cui Francesca si sottopone regolarmente vanno bene. A settembre, però, i valori risultano sballati, i marker tumorali sono alti. Servono altri controlli. Francesca è preoccupata, ha paura. Alle amiche dice: “Io la croce non la voglio”.
La diagnosi arriva qualche giorno dopo: metastasi alle ossa e al fegato. Per Francesca inizia un cammino di affidamento al Signore. A quelle stesse amiche dirà: “Amica, io sono in pace, perché Gesù mantiene la promessa di renderci felici. Fai con me questa strada e lo vedremo, ne sono certa”.
Il cammino è faticoso, le chemio sono pesanti, le giornate passano tra letto e divano. Racconta Vincenzo, il marito: “C’erano volte che si chiedeva: «Ma perché proprio io? Perché ha scelto me?» E io mi ricordo che in un momento così, le ho risposto: «Franci, questa è la strada su cui ci ha messo il Signore, dobbiamo fidarci. La tua vita è appesa a un filo, ma come quella di tutti in fondo: nessuno sa quanto ci è dato da vivere». Non so da dove mi sia venuta la forza di dire una cosa del genere, perché ero veramente schiacciato. Dicevo queste cose, e un secondo dopo ero a terra. Ma ringraziavo di riuscire a dirle, anche se non so come. Perché le servivano”.
I dolori sono forti, ma Francesca chiede di ridurre gli antidolorifici “perché se no sono rimbambita, e io voglio capire cosa dicono i miei figli quando mi parlano”.
Racconta Vincenzo: “Per me è stato fondamentale guardare i nostri bimbi, perché loro hanno vissuto questa situazione con una libertà invidiabile, che io desideravo per me. Si accorgevano di tutto, chiaro. E certamente chiedevano: «Quando guarisce la mamma?». Ma non hanno mai avuto un momento in cui rifiutavano quella condizione. La mamma stava così, punto. E loro accettavano questa cosa come un dono, tanto quanto era la mamma prima, quando stava bene. Lo hanno fatto con una serenità che veramente ti stupiva”.
Durante la fase della malattia, Francesca sperimenta la disperazione, la fatica, l’angoscia. Scrive ai suoi amici: “Appena gli esami vanno male mi assale un’angoscia tremenda, per me ma più che altro per mio marito i miei figli e la mia famiglia ed è una cosa che non riesco a vincere. Il futuro mi terrorizza, mi si spezza il cuore a pensare ai miei figli crescere senza mamma (la Sofia ha solo tre anni!!) e mio marito invecchiare da solo. Sono scenari tragici ma c’è poco da ridere e io ci penso tanto. Tutto sommato la più fortunata sarei io, che ho finito la mia prova. Lo so che la paura non è contraria alla fede, anche Gesù ha avuto paura sulla croce, ma è brutta e io non voglio vivere quello che mi resta (saranno tre mesi, tre anni o trent’anni??? e chi lo sa??) con questa paura nel cuore, determinata dalle circostanze, come se l’abbraccio di Cristo per me e i miei non potesse sconfiggerla. Io voglio avere una fede che davvero c’entra con la vita e questo non vale forse di più nella prova suprema? Se no cerchiamo sempre la soddisfazione dove la cercano tutti; magari gli altri la cercano nei soldi e nel potere e io la cerco nella salute, che sarà senz’altro un bene più nobile ma non è comunque quello che ti dà la soddisfazione. Sono stata sana fino ad ora, ma l’insoddisfazione so bene che cosa sia…”.
Poi però arriva la serenità e la certezza che nulla è perduto. Francesca mette tutto nelle mani del Signore, con sempre meno rabbia e paura. Ricorda una sua amica: “La salvezza. Lei cercava quella, non la guarigione. Domandava il miracolo, certo. L’abbiamo fatto tutti con lei. Ma lei voleva la salvezza: sapere che la morte non è la fine, che non diventiamo nulla. E che la vita vale la pena di essere spesa”.
Ai suoi colleghi, Francesca invia questa mail: “Per quanto mi riguarda, non vi nascondo che è una prova davvero durissima. Cerco di vestire i panni della combattente ma non sempre ci riesco, la tensione è alta e la vita stravolta in un attimo… Però ci sono anche tante certezze. Prima tra tutte, quella che la Madonna non ci abbandona mai e ci porta in braccio nei momenti più duri, e poi che la promessa di felicità con cui siamo stati messi al mondo, ci siamo sposati e abbiamo battezzato i nostri bambini resterà ferma per sempre, quelle che siano le vicende della vita, perché le promesse le ha fatte Chi tutto può. Questo mi libera tanto dall’angoscia che provo guardando mio marito e i bambini, perché è proprio evidente che la vita è un mistero e gli altri non li facciamo felici noi con i progetti anche buoni che abbiamo in serbo per loro, ma ci sono stati donati e un dono restano, anzi sono la prova e l’anticipo del bene che ci è stato promesso”.
La serenità di Francesca si diffonde intorno a lei e contagia tutti. Francesca è accompagnata ogni giorno dalla certezza che le viene dalla fede, la certezza di Cristo che continua a starle accanto.
Nonostante le sue condizioni di salute non siano buone, i medici consentono a Francesca di andare in vacanza in Grecia con la sua famiglia. Francesca è felice, vuole gustare la sua vita fino in fondo: passare del tempo con suo marito e i suoi bimbi è ciò che desidera fare più di qualsiasi altra cosa.
Al ritorno dalla vacanza, però, le sue condizioni peggiorano rapidamente. Francesca sa di essere ormai alla fine. A suo marito confida: “Vince, io sono tranquilla. Non ho paura, perché c’è Gesù. Ora non sono neanche angosciata per te e per i bimbi: so che siete nelle mani di un Altro. Non sono triste. Sono certa di Gesù. Anzi, sono curiosa di quello che il Signore mi sta preparando. Mi spiace solo che la tua prova è più grande della mia. Sarebbe stato meglio il contrario…”.
Francesca saluta tutti: fratelli, genitori, amici, uno ad uno. Saluta anche i suoi bimbi, uno ad uno: “Tra poco la mamma andrà in cielo. In un posto bello, dove c’è Gesù. Avrete un po’ di nostalgia, ma non preoccupatevi: io vi proteggo dal cielo. Mi raccomando, quando vado in Paradiso dovete fare una bella festa, perché è una bella cosa da festeggiare”.
In ospedale, tutti sono stupiti dallo spettacolo di tanti amici attorno a quel letto, a parlare, ridere, piangere, pregare.
Francesca è serena, in pace. Ad un’amica confida: “Io non ho paura. Il Signore mi ha regalato tutto il tempo perché potessi affidare ogni giorno i miei cari alla Madonna. E così è stato. Non ho più paura. La prima paura che mi ha abbandonato è stata quella di morire, poi ero in pena per Vince, i bimbi… Ma ogni giorno è servito. Li ho affidati tutti. Il tempo è prezioso. Non ho paura”.
Il 23 agosto 2012 Francesca entra in coma. Ricorda Vincenzo: “Alla fine ho cominciato a sentire una fitta al petto ad ogni suo respiro. Era come se respirassi con lei, con la stessa fatica. È proprio vero che quando si è sposati in Cristo si diventa una cosa sola”. Poi le dà un bacio e le sussurra all’orecchio: “Non avere paura”. Francesca per un attimo si riprende, apre gli occhi e dice a voce alta: “Io non ho paura”. Sono le sue ultime parole.
Francesca muore così, all’età di 38 anni: contenta, curiosa, certa, radiosa.
Il funerale è una festa, proprio come Francesca aveva desiderato e chiesto. Federico, il fratello di Francesca, ricorda così quel giorno: “È stato uno dei giorni più belli della mia vita. C’era una commozione grandissima, ma con una gioia immensa. Quando salutavo la gente, ero contento. Era palese. Lì ho realizzato che eravamo presi da qualcosa di forte, capace di vincere tutto”.
(testi tratti dal libro Io non ho paura. La storia di Francesca Pedrazzini)