Cominciamo un breve percorso che ha l’obiettivo di mettere in luce alcune caratteristiche della vita di madre Chiara con il fine di vedere dove e come ella ha vissuto la santità e come il suo esempio possa essere per noi un modello oggi.
Partiamo da alcune domande: può una donna vissuta oltre 100 anni fa parlare al cuore di chi vive nel 2023? Il suo stile di vita e la sua spiritualità possono essere ancora attuali? Una religiosa di fine ‘800 può dire qualcosa alla nostra vita?
Per rispondere a queste domande partiremo dalla lettura dei testi scritti da madre Chiara e dalle testimonianze sulla sua vita che le suore francescane Angeline hanno raccolto dopo la sua morte. La sua figura e il suo modo di fare umile e al tempo stesso forte stupiscono e affascinano. Analizzeremo quindi alcuni suoi atteggiamenti che possiamo considerare significativi per vedere come la sua spiritualità e il suo carisma siano ancora oggi attuali e possano parlare al cuore di tutti.
L’atteggiamento che approfondiremo oggi è il modo in cui madre Chiara vive le relazioni. Percorrendo il volume Memorie e testimonianze colpisce l’affetto con cui ella è ricordata. Potrebbe sembrare scontato – e in parte lo è – che i brani raccolti dopo la sua morte parlino bene della sua figura, ma scorrendo le pagine sono tanti i piccoli aneddoti che narrano di come ella sapesse parlare al cuore delle persone e catturarne l’affetto.
In Memorie e testimonianze si dice:
un’altra cosa che distingueva madre Chiara era l’affabilità: chiunque andava da lei, fosse uomo o donna, anziano o bambino, veniva accolto con familiarità, come fosse di famiglia.
Ovviamente, le relazioni di cui si parla principalmente sono quelle con le suore sue figlie e sorelle, ma non mancano accenni ai suoi incontri con le educande e con le orfane che frequentavano gli istituti gestiti dalle suore francescane Angeline. Mi colpisce come Madre Chiara fosse una donna sapiente, in grado di vivere le sue relazioni con saggezza e amore per il prossimo avendo ben presente il Bene (con la B maiuscola).
Per le orfanelle e per le educande (spesso lontane da casa) si faceva madre amorevole, per lenire le sofferenze di una mancanza che lei (orfana di madre a 13 anni) ben conosceva.
Faccio un esempio tra tutti (tratto sempre da Memorie e testimonianze) citando il racconto di suor Emilia Conti, orfana di entrambi i genitori all’età di 12 anni, che si trovava nell’orfanatrofio di Castellazzo
Impossibile descrivere lo stato d’animo mio, in quel totale sacrificio: di familiari, di luoghi… non potevo rassegnarmi, ero tanto triste… La superiora dell’orfanatrofio, con l’intenzione di procurarmi un po’ di svago, mi accompagnò a Castelspina e fu per me provvidenziale. Descrivere l’impressione dell’incontro con la buona m. Chiara non mi è dato, ma quell’abbraccio, quel sorriso dolce, quell’espressioni affettuosamente materne furono per l’animo mio balsamo di conforto… non mi sentii più sola e come per incanto ritornai serena e tranquilla.
Un’altra suora ricorda che da ragazza:
[le] venne incontro la cara Fondatrice col suo benevolo sorriso; il mio cuore si sentì preso, ella avrebbe preso per sempre il posto della cara mamma perduta e non avevo sbagliato
Con le sorelle (e in particolar modo con le più giovani) si faceva guida, vigilando amorevolmente sul loro comportamento, sempre pronta a dare lei per prima il buon esempio e non tardando a rimproverare ove necessario. Mi ha sempre stupito molto come in vari brani i suoi rimproveri vengano indicati come dolci. Come può un rimprovero essere dolce? La sua saggezza stava nella capacità di raddrizzare il comportamento senza condannare la persona che lo aveva compiuto.
Suor M. Giuditta ricorda:
Anche nel castigare si rendeva cara. Ero ancora postulante: ricordo che una volta, per sbadataggine, lasciai sbattere la porta del laboratorio. Ella, che se n’avvide, mi chiese il perché, ed io non risposi, anzi cercavo scusarmi. Ma ella, che aveva il dono di penetrare gli animi, capì il mio tranello, e giustamente mi castigò, mettendomi in ginocchio vicino alla porta sbattuta. Passata una mezz’ora di castigo, pensai recarmi in sua camera, per chiedere scusa della mia mancanza di rispetto. Ella, con la solita dolcezza e soave amabilità, mi diede ottimi consigli, e poi soggiunse: “sei da me perdonata”, ma con un accento di modi che fui ripiena di coraggio e di sprone a far meglio per l’avvenire.
Penso che la virtù che sempre l’ha guidata nelle relazioni sia stata la carità. Mi pare quindi utile, in questo contesto, citare la lettera circolare, quella lettera da lei indirizzata alle suore francescane Angeline e nella quale indica cinque doveri (ma potremmo chiamarli virtù) che ricorda loro di adempiere. Tra essi si trova la carità. Madre Chiara scrive:
Niente vale l’abito che portiamo, niente l’orazione, niente la meditazione, niente i digiuni, la povertà, la castità ecc. se non abbiamo la carità fraterna
Senza la carità (che lei definisce scambievole, cioè reciproca, che si scambia: non a caso un aggettivo che indica come essa si viva – innanzitutto – nelle relazioni) non ha valore la scelta di vita che facciamo, né i gesti che compiamo. Lei stessa proseguendo indica la strada per vivere quella carità:
In che cosa consiste questa carità? Nell’amarsi l’una con l’altra, nel compatirsi, nell’aiutarsi, nel pazientarsi, nel soffrirsi, e nello scusare la sorella quando mancò. Consiste nell’astenersi dalla mormorazione, e dal dir male l’una dell’altra, correggere modestamente, benignamente, prudentemente quelle che mancano. Consiste nel volervi bene, desiderarvi del bene, e pensare sempre bene delle vostre sorelle.
Correggere modestamente, benignamente e prudentemente. La correzione non deve essere superba, ma benigna. Deve avere come fine il bene dell’altro che – come dice in chiusura – ognuno deve desiderare. Ed è proprio quel desiderio di bene che la guidò in tutte le sue relazioni.
Penso che queste indicazioni siano valide ancora oggi e per chiunque. Se traduciamo le sue esortazioni nel nostro stato di vita e nelle nostre relazioni (prima di tutto in famiglia o in fraternità, ma anche al lavoro, in parrocchia e in tutti i contesti che ci troviamo a vivere) penso che esse non perdano di significato, ma si arricchiscano e ci aiutino a farci prossimi a coloro che abbiamo vicino.
La carità nelle relazioni si accompagna all’umiltà e alla capacità di perdono e di riconciliazione che tanto caratterizzarono la sua vita. Ella ben conosceva i frutti del perdono e della riconciliazione e molte volte li aveva fatti sbocciare lei stessa con amorevoli cure di madre tra le sue figlie.
Porto anche qui due esempi tratti da Memorie e testimonianze:
La buona madre trovava sempre qualche parola buona per scusare le involontarie mancanze e, avvicinando la colpevole, col suo amabile sorriso, attirandola sul suo cuore diceva: “figliuola mia, dovrei rimproverarti ma per questa volta ti perdono, sicura che farai più attenzione per l’avvenire”; le giovani animate da tanta bontà promettevano e mantenevano.
Nei giochi e nelle penitenze, sapeva con discernimento suo proprio illuminato renderli adatti alle circostanze, cercando così, anche nel gioco, di correggere e vincere le cattive tendenze. […] se poi si accorgeva che tra qualcuna era sorta qualche divisione, le faceva baciare; in tutto il suo occhio ed il suo cuore arrivava.
E queste virtù, che tante volte aveva chiesto alle sue figlie, le visse anch’ella in prima persona lungo tutta la sua vita ma in particolar modo negli ultimi anni, dopo la deposizione da madre generale.
Parlando di quel periodo, suor Crocifissa ricorda che la madre “come una semplice Novizia ubbidiva e con semplicità cosciente ringraziava e benediceva”. È la capacità di farsi umile e piccola che le permette di vivere il perdono, di non chiudersi nella superbia ma nel lasciare spazio all’intervento di Dio.
(il presente articolo è un estratto della relazione tenuta a Castelspina durante le Giornate di spiritualità 2022)