EMER MEZZANOTTE: IL RIFLESSO DI DIO

[…] Non si fa discernimento per scoprire cos’altro possiamo ricavare da questa vita, ma per riconoscere come possiamo compiere meglio la missione che ci è stata affidata nel Battesimo, e ciò implica essere disposti a rinunce fino a dare tutto. Infatti, la felicità è paradossale e ci regala le migliori esperienze quando accettiamo quella logica misteriosa che non è di questo mondo. Come diceva san Bonaventura riferendosi alla croce: «Questa è la nostra logica». Se uno assume questa dinamica, allora non lascia anestetizzare la propria coscienza e si apre generosamente al discernimento.

(Papa Francesco, GE 174)

 
Emer nasce a Carpi il 17 aprile 1974. Al momento della nascita gli viene affidato il nome del nonno: tutti si interrogano su tale significato. Il nome deriva dal greco e vuol dire ‘giorno’, “e ripensando alla simbologia del giorno come luce, ci appare oggi quasi come una premonizione”.

L’infanzia di Emer è simile a quella degli altri bambini: dolce, affettuoso e docile ai genitori.

Quando Emer ha sei anni, la mamma si sottopone a un intervento chirurgico delicato, lui soffre in quei giorni, ma con il rincaso della madre torna anche la gioia e lui inizia ad essere premuroso e servizievole in tutto.

Durante le elementari il suo carattere si vivacizza: rimane sempre rispettoso verso i genitori, ma iniziano a scorgere tratti più esuberanti del suo carattere.

A 9 anni entra a far parte del gruppo scout locale dove ci rimane fino a 17 anni. Questa diventa l’occasione per conoscere nuovi amici, in particolare Filippo, e per crescere nell’esperienza umana.

L’anno successivo il padre, medico chirurgo, decide di lasciare l’ospedale e di partire volontario per il Pakistan per una missione di 4 mesi con la Croce Rossa. Questa notizia scuote tutti, soprattutto coloro che rimangono a casa. Dopo un solo mese scoppia una bomba nell’accampamento dove si trova il padre che non subisce danni, ma decide di tornare a casa. Riunita tutta la famiglia, si avvicinano al movimento Neocatecumenale.

Da un tema svolto in classe, di cui non sono mai stati resi pubblici i contenuti, la maestra, stupita, intuisce una propensione religiosa di Emer e dice alla madre: “questo ragazzo diventerà sacerdote”.

Durante le scuole medie, Emer ottiene ancora ottimi risultati e si nota un atteggiamento sempre più maturo, la sua esuberanza lascia spazio alla serietà, è molto composto. La dinamica si ripete anche al liceo, dove non mancano le soddisfazioni.

In questo periodo adolescenziale si nota il continuo avvicinamento di Emer verso Dio. La sera si reca in duomo con il breviario in mano, si fa più riservato, ma non nasconde la sua dolcezza e il suo affetto. Conosce la comunità monastica dei “Figli di Dio”, dove nel 1991 viene portato a visitare la casa madre a Settignano dove poi entra nell’aspirantato della comunità iniziando successivamente un cammino di formazione spirituale più specifica a Modena. Al suo rientro la madre lo descrive così: “Emer è trasformato dopo Settignano: al suo ritorno si è dimostrato immediatamente più disponibile e servizievole: va a prendere l’acqua in garage senza che glielo debba chiedere due volte, custodisce il cane… È mite, servizievole, molto sereno”.

Man mano che Emer diventa grande, cresce anche il suo carattere e la sua fede: è esigente. Sostenuto dall’amico Filippo, si confidano le difficoltà della vita quotidiana, in quanto provano entrambi disagio con i ragazzi della loro età trovandoli superficiali e insensibili a Dio.

Emer è ormai cambiato, si allontana sempre più dai suoi amici: sceglie di vivere “cose buone e serie”. Molti dei suoi atteggiamenti mostrano “purezza”, la sua preghiera si intensifica e decide di andare a Messa tutti i giorni e, quando riesce, recita tutte le sere con Filippo i Vespri.

Inizia a dialogare con Don Serafino, il quale presto gli parla del tema della chiamata di Dio. Non viene mai esplicitata da Emer la chiamata al dono totale, ma alcuni dei suoi atteggiamenti e dichiarazioni mostrano una tale inclinazione.

Nell’agosto 1991 subisce un incidente stradale: viene travolto da un motociclista ad alta velocità mentre è su un vecchio motorino del nonno. Il suo unico pensiero in quella situazione è la preoccupazione del dispiacere che avrebbe procurato ai suoi genitori. Dopo una lunga convalescenza si riprende completamente.

Guarito dalle ferite dell’incidente, Emer accusa un dolore alla testa, nella zona frontale. Inizia delle cure per una presunta sinusite, però, non ottenendo nessun effetto si sottopone poi ad una visita più accurata.

In quell’attesa continua a frequentare la comunità. Durante una catechesi Emer è costretto a tenere lo sguardo verso il basso per il forte dolore alla testa e la continua lacrimazione di un occhio, il padre gli chiede se gli è piaciuto, lui sa già le cose udite, aggiunge poi “Dio c’è”.

A metà febbraio del 1992 esegue TAC e RMN, alcuni colleghi del padre lo mettono in contatto con uno dei migliori chirurghi maxillo-facciale di Parma dove viene ricoverato per iniziare gli accertamenti. Consegnano al padre la diagnosi di neoplasia maligna, una forma rara ed estremamente aggressiva.

Prima di iniziare i cicli di chemioterapie, Emer chiede di ricevere l’unzione con l’olio degli infermi. La cosa che più stupisce è il fatto che non vuole sapere nulla della sua malattia, si affida completamente ai suoi genitori e alle loro scelte.

Una sera il dolore alla testa è così forte da invalidarlo in tutto, pure nelle relazioni, così il padre, d’impulso, gli mette la mano sulla testa. Con quel gesto all’inizio gli provoca un grande dolore ma, dopo dieci minuti, il figlio è tramortito, viene accompagnato sul divano e poi sul letto dove dorme per due giorni e mezzo. Si risveglia senza dolore e ricomincia a mangiare.

Verso la fine di marzo le chemioterapie debilitano molto Emer, ma lui decide di continuare ad andare a scuola e affrontare interrogazioni e compiti per non compromettere l’anno. Un giorno a scuola si accorge di essere cieco da un occhio e dopo una visita emerge che è un effetto collaterale dei farmaci: ricomincia subito a studiare.

Il tumore avanza, raggiunge il cervello e i nervi ottici. Emer è cieco da un occhio e l’altro è spinto fuori dall’orbita. Ciò non gli impedisce di fare un compito di greco raggiungendo un ottimo risultato.

Riceve per la seconda volta l’unzione degli infermi e il Martedì Santo viene ricoverato per eseguire l’intervento. Quel giorno dice al padre di non vederci e gli confida di non farcela più.

Il Giovedì Santo, nella notte, pronuncia con pacata dolcezza: “Gesù, Gesù”, poi si rannicchia nel letto come i bambini nel ventre materno. Quel giorno è sottoposto all’intervento che va meglio di quanto pensano: i medici rimuovono tutta la massa, rimangono solo dei piccoli residui da irradiare molto presto.

Il giorno seguente Emer diventa maggiorenne, ma è così debilitato dall’intervento e dall’anestesia che passa la giornata dormendo. Il Sabato Santo va in coma per un’eccessiva perdita di liquido cerebrospinale dal drenaggio ma, il giorno dopo, Pasqua, si sveglia, parla bene e chiede di alzarsi.

Il 24 aprile si consacra a Dio all’ospedale di Parma. Lo stesso giorno a Brescia gli viene data una risposta negativa sulla sua possibilità di recupero, i medici rifiutano di fargli la radioterapia perché il caso è irrecuperabile. Dopo tutti quegli avvenimenti viene don Serafino nella sua stanza d’ospedale per recitare la Santa Messa, e prima di ricevere la Comunione Emer esprime a voce alta la sua donazione: “Oggi io, Emer, alla presenza di Dio Onnipotente, della Beata Vergine Maria e di tutti i Santi, alla presenza di voi, padre, e di voi fratelli intendo donarmi e consacrarmi totalmente e per sempre a servizio e lode del Verbo di Dio incarnato per nostro amore, nella Comunità dei figli di Dio”. “A servizio e lode del Verbo di Dio…”.

Dopo quel momento la vita di Emer cambia: “è come se entrasse in uno stato di abbandono, di fiducia, di pace, sembra che aspetti la morte o, meglio, l’adempimento di ciò che ha promesso”.

Nei giorni successivi i genitori decidono di portare Emer a casa a morire dove in realtà rimane pochi giorni per tornare successivamente in ospedale. È sempre lucido. Le sue condizioni cliniche e fisiche peggiorano: il tumore esplode con recidive al cervello, nell’orbita sinistra e nella guancia sinistra. Sta a letto sdraiato, mangia solo gelato. Sta in silenzio, ma la sua vita interiore non è di certo ferma. “Emer colpisce per la straordinaria serenità con cui soffre”.

Verso il 22 maggio inizia “l’epilogo dell’agonia di Emer”: inizia a sanguinare, viene continuamente ripulito, fasciato, tamponato ma nulla blocca l’emorragia.

Emer muore il 31 maggio, solennità dell’Ascensione di Cristo. Prima di salire al Cielo riceve per la terza volta il sacramento dell’unzione degli infermi. “Ho sete” sono le sue ultime parole, come Gesù. Alle 14.15, durante il suo abbandono, i monaci della Casa S. Sergio cantano l’antifona dei salmi dell’ora nona: “Ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.

(fonte: https://rosarioonline.altervista.org/libri/GiovaniSanti/index.php?santo=EmerMezzanotte)

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