Continuiamo a riflettere sulla figura di Abramo per vedere come la sua storia può parlare al nostro quotidiano…
Le riflessioni sono tratte da: P. Curtaz, Il cercatore, lo scampato, l’astuto, il sognatore, San Paolo, 2016.
Abramo ha settantacinque anni quando parte: la sua azione non è frutto di una scelta impulsiva, tipica di chi è giovane e pieno di curiosità, ma è, piuttosto, il passo meditato di chi ha visto e sperimentato il peso della vita.
Proprio quando pensa di avere concluso la sua vita, quando ha un lavoro, un ruolo, quando si è rassegnato all’assenza di figli, si rimette in gioco. Dio riserva sempre sorprese inattese e nel momento in cui non ci aspettiamo più nulla.
Non solo. Abramo parte portandosi dietro la sua storia, i suoi affetti più vicini. Abbandonarli sarebbe segno di indifferenza, non di libertà. Nel suo cammino deve ancora risolvere la relazione con sua moglie, con suo nipote, avrà del tempo per farlo. Non si parte mai totalmente liberi, si diventa liberi, ma non nel senso di lasciare per strada il nostro passato, di tagliare i ponti fisicamente con quanto ci ha preceduto, perché non sempre è opportuno o possibile farlo, bensì nel senso di ridefinire le relazioni, di viverle con una distanza che ci permette di accoglierle e interpretarle nella giusta prospettiva. Noi siamo anche il nostro passato, la nostra famiglia di origine, nostro padre, nostra madre, i nostri fratelli e sorelle. Noi siamo anche i nostri errori, le nostre scelte, le cose che abbiamo dovuto subire, le nostre ferite sanguinanti. Noi siamo anche i nostri limiti, compresi quelli che cerchiamo di nascondere e che ci fanno paura. E portiamo tutto con noi, perché tutto ciò che siamo, siamo stati e saremo sia liberato e trasfigurato.
L’inizio del racconto, così folgorante, contiene in sé una fragilità, una contraddizione.
Abramo porta con sé parte del suo passato e del suo presente, ma scopre, subito, che la terra fisica in cui dovrebbe trasferirsi è già abitata. La sposa promessa… è già impegnata! Abramo dovrà confrontarsi e lottare con la diversità, uscire da sé per incontrare Dio significa andare in una terra sconosciuta ma già abitata, in positivo e in negativo. Non è mai un terreno vergine, quello in cui andiamo, è abitato da altro, da altri, richiede una predisposizione al confronto e alla mediazione. Non solo. Dio gli dice, correggendo la promessa, che darà la terra ai suoi discendenti, non più a lui. Che batosta! Come farà con Mosè, il liberatore che non entrerà mai nella terra di Israele, Dio svela ad Abramo che occorre guardare al di là del proprio percorso, del risultato, della propria vita interiore.
Ma quel partire, quell’osare, quel cercare è già gravido di conseguenze. Per il fatto stesso di andare, Abramo smuove un universo. Smuove l’Universo. Il suo dinamismo inonda il futuro e lo feconda.
Diventa una pioggia di benedizioni. Benedire, cioè dire del bene, vivere il bene, operare il bene, sperimentare il bene. La luce, non l’ombra, finisce col predominare. Ecco la benedizione per sé e per l’umanità intera. Poiché si è fidato, poiché non si è fatto un’immagine idolatrica di sé, poiché accetta di essere in divenire, diviene Patriarca, cioè padre dell’umanità che non si arrende. Abramo parte per una ricerca non solo personale ma collettiva: da subito viene coinvolto un popolo, una discendenza, un futuro. Non parte per sé ma per me, per noi, per tutti.
Ciò che facciamo ha delle conseguenze imprevedibili, da ora e per sempre, che superano la nostra esperienza. Porsi alla luce dell’Eterno significa strappare la nostra vita alla dittatura dei risultati conseguiti, ai veri o presunti fallimenti, alle disillusioni, al giudizio. Guardare la propria vita inserita in un’altra grande Storia fatta di benedizione per noi e per tutti. Guardarsi come parte di un immenso progetto di salvezza. E pazienza se la nostra vita non va come avremmo voluto…
La nostra esperienza non è mai solitaria! Abramo lo sperimenta: la sua risposta, la sua avventura diventa benedizione per un intero popolo, per l’intera umanità.
La chiamata di Abramo ci svela che è sempre Dio a prendere l’iniziativa, è lui che ci viene incontro. Ed è la grande novità proposta dall’approccio biblico, qualcosa fino ad allora inimmaginato. È Dio che ci cerca. Noi cerchiamo colui che ci cerca. Lasciamoci trovare!
Non solo. Dio rispetta i nostri tempi e i nostri cammini. Abramo sente la voce di Dio e l’esigenza di una vita autentica in età adulta: la sua scoperta di Dio non è né facile né immediata, dovrà attraversare molte prove, prendere coscienza e superare i propri limiti, lottare contro i propri sbagli e gli avversari, fidarsi della promessa di una discendenza, staccarsi dai legami esteriori e interiori, dal possesso (una terra già abitata!), dalla realizzazione immediata. Tutto questo non si fa in un attimo, ci vuole molto tempo! Dio è sempre alla porta e bussa. Ci sono momenti nella vita in cui, finalmente, ci decidiamo ad ascoltare.
Ma Dio non può essere trovato se la nostra vita è piena di idoli. Anche la nostra idea di Dio, la nostra vocazione religiosa, il nostro movimento possono diventare degli idoli. Anche i nostri affetti, anche la nostra famiglia o le nostre conquiste. Tutto è nostro, ma noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio (1Cor 3,23).
Abramo è un cercatore di Dio. O la nostra vita diventa ricerca, passione, scrutamento, o finisce con l’essere uno sterile susseguirsi di giorni. La grande notizia della Parola è che ognuno di noi ha un destino, una chiamata, ognuno di noi è chiamato, chiamata da Dio, ognuno è capace di Dio. O l’uomo cerca l’altrove, si fa viandante, è in movimento continuo o non è. E la vita diventa una splendida caccia al tesoro (Mt 13,44).
Siamo chiamati a rispettare i tempi della nostra crescita umana e spirituale. Dio non ha fretta, sa attendere i nostri tempi, le nostre stagioni. Il rischio di ricercare una conversione definitiva e immediata (come san Paolo!) e non accettare una logica di conversione è sempre presente. Vorremmo cambiamenti immediati, folgoranti, epocali. I cambiamenti avvengono solo per stadi e a volte durano tutta la vita e a volte a Dio non interessano! La logica di Dio mette in crisi il nostro efficientismo!
Siamo uomini quando diventiamo liberi. Quando ci liberiamo dagli idoli. Occorre anzitutto dare un nome agli idoli, identificarli, sapendo che gli idoli cambiano con noi. Da quelli giovanili (l’efficienza, il guadagno, il delirio di onnipotenza) a quelli da adulti (il ruolo, gli status symbol, l’immagine di sé) a quelli del tramonto della vita (l’essere riconosciuti, la depressione del vivere). Una corretta percezione di sé è auspicabile e positiva, e deriva dallo scoprirsi cercatori, alla luce della Parola. La libertà “da” ciò che ci sta intorno diventa libertà “per”, per amare. Come dice Gesù, la consapevolezza dei legami negativi ci spinge ad accoglierli e a trasfigurarli. Più raramente a superarli. La verità ci farà liberi (Gv 8,32)!