CARMELO CAPORALE: UN DONO DI DIO PER TUTTA LA CHIESA

Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è «gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17), perché «all’amore di carità segue necessariamente la gioia. Poiché chi ama gode sempre dell’unione con l’amato […] Per cui alla carità segue la gioia».[99] 

(Papa Francesco, GE 122)

[99] S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 70, a. 3.

 

Carmelo nasce a Paradisoni di Briatico (un piccolo paesino in provincia di Catanzaro) il 10 marzo del 1947.

Da piccolo è un bambino particolarmente vivace e capace di inventare sempre nuove occasioni di divertimento. Ha un temperamento deciso e non accetta mai di essere rimproverato ingiustamente. Ha un’attenzione particolare per gli altri: ogni mese infatti il padre gli dà dei soldi per prendersi la colazione e lui cerca di mettere insieme qualche lire da mandare agli orfanelli di Sant’Antonio. Nel 1961 con la famiglia si trasferisce a Buccinasco, a sud-ovest di Milano.

Nell’adolescenza, Carmelo è un ragazzo simile ai suoi coetanei: ha la loro stessa vivacità, gli stessi interessi, gli stessi sogni e le stesse speranze. Di giorno lavora con serietà e con passione, alla sera gli piace uscire con gli amici, andare al bar, in discoteca. Ride, scherza, si diverte. All’età di 16 anni, Carmelo, imprevedibilmente, si sente male e si ammala.

Da una testimonianza di Carmelo:

“Quando mi sono ammalato avevo 16 anni e vivevo una vita normale, così come si vive a quell’età, con tutte le aspettative che ci sono e la voglia di vivere. Vivevo senza chiedermi il perché della vita. Poi è successo quel che è successo (paralisi per poliomielite). Tra l’altro io non ero uno che frequentava la Chiesa, anzi, la frequentavo pochissimo. Ciò a cui miravo era riuscire bene in certe cose: roba normale, come avere la morosa, divertirmi… Puntavo a dei valori diciamo “umani”, che però erano al di fuori di un significato più grande, al di fuori di un vero significato”.

Dopo diversi mesi di ricovero, Carmelo viene dimesso e torna a casa con la sua famiglia. Carmelo fin dall’inizio teme di poter essere un peso per loro e tende a preoccuparsi più per i suoi genitori che per lui ma è felice di tornare a casa ed è grato di potersi sentire ancora parte della sua famiglia. I primi due anni della sua malattia sono accompagnati da un tempo di disperazione a cui seguono ventotto anni di pace assieme al Signore. Quello degli inizi è per Carmelo un periodo di buio anche se per cercare di non far pesare la sua condizione cerca di nasconderlo e di sdrammatizzare, anche nel momento in cui la fatica è più acuta. Nei primi due anni di infermità è costretto all’immobilità totale e Carmelo deve perciò accettare di dover dipendere completamente dai suoi. È un tempo in cui Carmelo sperimenta una profonda solitudine: avverte una grande distanza tra lui e gli amici che in questi anni vengono a trovarlo di tanto in tanto e condividono con lui esperienze che Carmelo sente di non poter più vivere.

In questo momento di disperazione, Carmelo è accompagnato a Lourdes dalla sua mamma, che non ha mai smesso di attendere un miracolo. Quel giorno, il 15 maggio 1967, il miracolo accade: Carmelo vede tanta gente che soffre e assiste allo spettacolo della fede, assiste alla presenza di Qualcuno capace di dare senso non solo alla malattia, ma anche alla vita. In quell’istante Carmelo accetta la sua infermità e il primo gesto che compie è quello di farsi cresimare. Come la Vergine di Nazareth, anche Carmelo, pronuncia il suo “Si” totale, pieno, definitivo e da quel giorno inizia a vivere con questo sì nel cuore, sulle labbra e sul volto. Ora la solitudine che prima provava è vinta alla radice: un Altro è entrato nella sua vita, Cristo Risorto! Carmelo comprende già allora che questo non potrà più cambiare.

Il miracolo di Lourdes si fa carne nell’incontro con alcuni giovani di Gioventù Studentesca di Milano. Questi nuovi amici condividono con Carmelo l’esperienza del movimento Comunione e Liberazione di cui fanno parte.

Da una testimonianza di Carmelo:

“Poi sono venuti a trovarmi altri ragazzi. Mi parlavano di cose che stavano verificando: stavano cercando di vivere la proposta cristiana. Il fatto che loro, dei ragazzi della mia età, con tutta la loro vivacità, con tutta la loro vita, con il problema del ragazzo, della ragazza, della scuola o del lavoro, avevano qualcosa di più grande a cui si riferivano e che dava significato a tutte queste cose, questo mi ha fatto accorgere che una cosa così valeva anche per me”.

Lui stesso racconta che attraverso questi nuovi amici il Signore si è fatto vicino e Carmelo inizia a gustare la compagnia di Dio nei volti umani, nella Chiesa!

Da quel momento, Carmelo è animato dalla passione di annunciare Cristo e ciò lo rende capace di condividere la vita di quelli che gli vivono accanto in modo totalmente gratuito, come hanno fatto con lui gli amici di Gioventù Studentesca. In quegli anni, alcuni ragazzi di GS danno vita ad un gruppo chiamato “Comunità ’67” e Carmelo, in poco tempo, ne diventa il cuore. In questi anni nascono anche tante altre attività, tra cui il Gruppo Immigrati e la Cooperativa San Benedetto, che Carmelo definisce “la nostra strana casa”, il condominio di Romano Banco, quartiere dove va ad abitare nel 1978 con i genitori.

Carmelo e alcuni suoi amici vivono l’amicizia, gli incontri e le relazioni come il centro della loro vita. Diverse persone accanto a loro, per situazioni economiche, fanno fatica a trovare un posto in cui vivere. Dal desiderio di relazione e dal desiderio di leggere i bisogni di coloro che hanno accanto, Carmelo con altri giovani, inizia ad immaginare una struttura che risponda alle loro esigenze e che permetta alla loro amicizia di esprimersi adeguatamente. Così con un gruppo di amici architetti iniziano a fare progetti. Carmelo desidera che la sua casa possa diventare occasione di un incontro più profondo con chi lo desidererà e così questa idea diventa concreta. Vengono realizzati ventiquattro appartamenti tutti diversi l’uno dall’altro, distribuiti in modo tale che ogni persona abbia un suo spazio personale dove poter dormire, studiare e stare in preghiera. C’è anche uno spazio che è affidato ad un Poliambulatorio: si tratta di una cooperativa di medici cristiani che cercano di rapportarsi con i pazienti in modo cristiano.

Carmelo, inoltre, in questo periodo, matura il desiderio di continuare i propri studi: grazie all’aiuto di alcuni amici si prepara per gli esami di maturità delle magistrali. Per lui studiare in questi anni è significativo perché il diploma permette a Carmelo di aiutare i ragazzini che gli vivono accanto, come gesto di amicizia e di carità.

Tra il 1989 e il 1990, per Carmelo è il tempo di una nuova prova: gli viene comunicato che dovrà sottoporsi alla dialisi per l’aggravarsi della sua infermità. In questo periodo Carmelo affronta la fatica del prepararsi fisicamente e non è certo facile ma la vera fatica è un’altra: quella di dover chiedere un ulteriore sacrificio ai suoi. Carmelo sa cosa può comportare l’aggravarsi della sua infermità, sa che la sua vita sta entrando in una fase irreversibile, eppure in quel momento non è di questo che si preoccupa, ma di quello che la nuova circostanza comporterà per la sua famiglia. I suoi medici insistono per la dialisi domiciliare ma nonostante ciò, Carmelo decide di iniziare la dialisi in ospedale perché ritiene che questa soluzione richiederà un minore sacrificio per i suoi. 

Il nuovo sacrificio che familiari devono affrontare è però più pesante del previsto e questo porta Carmelo ad una chiusura in sé stesso e ad una tristezza inconsueta per lui. Al problema pratico però ne sottende un altro: in questo momento doloroso Carmelo è come se si chiedesse il perché di quello che gli sta accadendo. Rispetto questa domanda, Carmelo decide di andare a chiedere aiuto a padre Gerolamo, un monaco del monastero della Cascinazza. Nell’incontro con lui, quel giorno, accade quello che parenti e amici definiscono “un nuovo miracolo”. Carmelo esce da lì infatti trasformato e a partire da quel momento e dall’accettazione della propria condizione, Carmelo prende coscienza del compito e della missione che Dio gli affida. Carmelo è sempre più intimamente convinto che la sua vocazione è quella di accogliere tutti e di dare a tutti nelle sue condizioni, testimonianza di fede e di carità. Inizia a rendersi conto che la sua sofferenza è un dono di Dio non solo per sé ma anche per la sua famiglia, per gli amici, e per tutta la Chiesa. Grazie a quel colloquio, Carmelo capisce che può dare tutto senza più riserve e chiede al Signore di dargli questo dono di accettazione, coinvolgendo anche tutta la famiglia.

Da una testimonianza di Carmelo:

“La fatica di questi ultimi tre anni oggi mi sembra… lo dico con un certo tremore… mi sembra quasi un dono. Non solo il fatto di essere rimasto infermo, ma anche questo ulteriore problema della dialisi,  ha come rafforzato il legame della mia famiglia, ci ha come cementati, ci ha resi più uniti, più capaci di volerci bene, di andare d’accordo”.

Da quel momento, Carmelo accetta tutte le conseguenze della sua malattia come parte del compito che Dio gli affida e accetta che la dialisi sia fatta a casa sua, con il coinvolgimento di tutti i suoi. Ora si sente libero non solo di accettare, ma persino di sollecitare la disponibilità di tutti perché riconosce che anche a loro Dio sta chiedendo, allo stesso modo che a lui, di partecipare al mistero del Suo disegno buono sul mondo e sulla storia.

Carmelo, negli ultimi anni, continua a vivere l’esperienza di Comunione e Liberazione come propria regola di vita diventando sempre di più un punto di riferimento per tutti nell’ambito della Comunità, proprio in forza del fatto che era uno che viveva le cose che venivano dette, così che la letizia e la positività della sua vita, in condizioni ben più difficili e ben più pesanti rispetto a quelle degli altri, mostra a tutti la possibilità e la ragionevolezza del seguire un Altro.

La bellezza di Carmelo in questi anni si rivela giorno per giorno, nella semplice ordinarietà. Nel quotidiano, Carmelo, ha una grande attenzione verso tutti, in qualsiasi condizione. Non gli piace parlare di sé ma piuttosto preferisce ascoltare gli altri, per i quali è un punto di riferimento. Carmelo accoglie tutti con grande libertà riconoscendo che è il Signore che cambia e porta a compimento: è così quindi anche con coloro che non vivono la sua stessa esperienza di fede. Chi lo conosce, testimonia che Carmelo ha il dono di andare al sodo, di vedere le cose con un occhio diverso, non preso da risvolti banali: ha la capacità di fare intuire l’essenziale, il valore delle cose, senza tanti discorsi e a volte semplicemente facendo esempi di quello che ha vissuto lui.  Carmelo, nonostante le fatiche che affronta in questi duri anni di dialisi, matura ancora di più la capacità di accorgersi del bisogno di chi gli è accanto e prova ad immaginare una risposta per rispondere alle necessità.

“Se il Signore mi chiama, io sono pronto”.

Per quattro anni la dialisi è ogni volta l’esperienza di una festa perché è l’occasione per tutti quelli che lo conoscono di passare con lui del tempo, in un clima di accoglienza e confronto. Ma la dialisi è ogni volta un rischio per Carmelo che spesso ha sbalzi di pressione e si sente molto debole e con il cuore affaticato. È consapevole dei rischi eppure il pensiero della morte non gli fa più paura: si sente pronto, anzi, è in attesa.

L’8 gennaio 1994 durante la dialisi, a causa di una complicanza, Carmelo va in arresto cardiaco. Iniziano le procedure di rianimazione e le corse in ospedale. Si lotta, si spera e si prega. Poco dopo arriva l’annuncio dal fratello Renato alla mamma: “Carmelo oggi è con Gesù”.

“Sei stato una benedizione per tutti”.  Mentre la tomba di Carmelo viene chiusa, queste parole, pronunciate dal papà, immediatamente diventano per ciascuno la formula del grazie. Il funerale è un avvenimento per tutte le persone che lo conoscono: chi era presente si è trovato ad essere partecipe della festa della fede.

Pochi mesi dopo la sua morte, viene costituita l’associazione “Opera Carmelo Caporale” per conservare viva la memoria di Carmelo e raccogliere anche i più piccoli frammenti della sua vita di testimone della grazia di Dio tra gli uomini. L’associazione si prefigge di sostenere persone con malattie permanenti o in fase terminale.

Carmelo ha testimoniato che la vita vale la pena di essere vissuta grazie al dono della fede, che gli ha fatto sperimentare l’amore di Dio, della famiglia, degli amici. Questa ha fatto nascere in coloro che hanno dato vita all’associazione il desiderio di far compagnia gratuita a persone malate e anziane.

(testi tratti dal libro Ho visto l’ippopotamo mettere le ali)

Bookmark the permalink.

Comments are closed.