“La parola di Dio è viva, efficace […] discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.” (Eb 4, 12)
Lasciati interrogare dalla Parola di Dio: leggila, ascoltala, meditala, seguila.
“La parola di Dio è viva, efficace […] discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.” (Eb 4, 12)
Lasciati interrogare dalla Parola di Dio: leggila, ascoltala, meditala, seguila.
Carissimi giovani,
l’estate è ormai arrivata e per tutti è tempo di relax e riposo dopo le fatiche di questo anno, chi per un tempo breve, chi per un tempo più lungo… ad ogni modo vivremo la grazia del riposo! Eh sì, perché anche il riposo è un dono di Dio, è la ricompensa per il lavoro compiuto ma è anche il tempo di preparazione alla ripresa. Il riposo è talmente importante per la nostra vita che Dio crea l’uomo il sesto giorno e il settimo lo fa riposare con Lui e in Lui per cui il primo giorno completo che l’uomo vive è di riposo.
Attenzione!!! Questo non significa che dobbiamo solo riposare (basta pensare al giardino dell’Eden affidato all’uomo da Dio, da coltivare e curare!) ma che lavoro e riposo hanno la stessa importanza. Ecco allora il tempo giusto per collocare i nostri occhi in quelli di Gesù e fare l’esperienza di riposare nel Suo sguardo.
Ricordate quel brano del Vangelo in cui Gesù invita i discepoli ad andare con Lui in disparte per riposarsi al rientro dalla loro missione? Questo è l’invito che Gesù rivolge anche a noi… proviamo allora a vivere così il tempo delle nostre vacanze e, consapevoli che Lui non va in vacanza, anzi continua a prendersi cura di noi anche attraverso il riposo del nostro corpo.
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. (Mc 6, 30-32)
Lo sguardo di Gesù verso i discepoli, e quindi verso di noi, è a 360°: vede la gioia che traspira dalle loro parole nel raccontare il risultato della loro missione ma, allo stesso tempo, nota e comprende la loro stanchezza e li invita ad andare in disparte, non da soli ma con Lui, per riposarsi. Nel Suo sguardo, nella Sua Parola, nell’Eucarestia, nell’intimità con Lui, nel tempo di riposo che ci viene donato, ritroveremo le forze e le energie necessarie, la capacità di dare il giusto peso alle faccende e alle preoccupazioni quotidiane, il ritrovo del senso e dei criteri del nostro agire.
La sfida è ardua perché il fare, la frenesia della quotidianità, i pensieri, l’idea di pianificare già una parte del nuovo anno, tenteranno sicuramente di distoglierci dal riposo eppure Dio ha plasmato il tempo e gli esseri umani a Sua immagine e noi dobbiamo cercare di lasciarci plasmare dal tempo di Dio e rispondere con un nostro modo creativo di usare il tempo! L’unica possibilità è creare e vivere in pienezza questo tempo di riposo perché possa poi riempire le nostre future giornate, esistenze e periodi.
Riposiamo nel Suo sguardo per ricordare e ringraziare il Signore per quanto abbiamo vissuto di bello, buono e fecondo per la nostra vita; riposiamo nel Suo sguardo per vigilare e godere della Sua presenza viva e vera che intensifica la nostra gioia e la nostra pace; riposiamo nel Suo sguardo per riporre in Lui ogni speranza e affidare alle Sue braccia amorose ogni progetto e ogni scelta futura.
Carissimi giovani,
in questi primi passi di ripresa del tempo ordinario, desideriamo lasciarci guidare dallo sguardo di Gesù unito ad altri due sguardi, quello del Padre e dello Spirito Santo.
Questa domenica, 4 giugno, infatti, la Chiesa celebra la solennità della Santissima Trinità, uno dei misteri più affascinanti ma allo stesso tempo più complessi da spiegare e comprendere.
Se sono tre persone come fanno ad essere uno?
È un mistero che non si può spiegare né con un vocabolario alla mano né con i problemi di matematica perché se è tre non può essere uno e se è uno non può essere tre.
Ma allora è come un rebus?
No, in realtà è molto più semplice di quello che si pensa anche perché nella nostra vita ci sono molte cose che seguono la stessa logica… ve ne siete mai accorti?
Per esempio, la gioia: più la condividiamo con gli altri e più aumenta, ci sentiamo invasi dalla gioia. Quando proviamo ad essere felici da soli non proviamo la stessa gioia di quando siamo felici insieme agli altri!
Anche l’amore segue lo stesso criterio: puoi darne di continuo e non resti mai senza, anzi più ne dai e più ti sento abitato dall’amore. Non può mai accadere che l’amore finisca e io resti senza!
Ecco, la logica che abita la Trinità segue lo stesso criterio: è lo sguardo dell’amore eccedente, sovrabbondante, che non si ferma a guardare sé stesso.
Lo sguardo trinitario non è uno sguardo possessivo, che vuole assimilare l’altro a sé o incasellarlo a tutti i costi dentro i propri schemi; non è uno sguardo utilitaristico che si accorge dell’altro solo quando ne ha bisogno; non è uno sguardo avvolto su di sé, escludente ed egoista. Queste tipologie di sguardi rendono l’amore sterile, non fecondo.
Lo sguardo trinitario è, invece, generativo, eccedente, fecondo, perché non può fermarsi a contemplare sé stesso o a compiacersi ma desidera trasformare l’amore in bene per gli altri; desidera generare un amore in cui ci si fida l’uno dell’altro in qualunque circostanza.
In questi giorni del tempo pasquale, e ancora domenica nel Vangelo, sentiremo parlare del Padre che invia il Figlio, poi se ne separa, ma nel Figlio resta sempre il desiderio di ritornare al Padre del quale continua a fidarsi anche nelle situazioni più difficili. Ecco cosa celebriamo nella festa della Trinità: il rapporto vitale di dipendenza tra Padre e Figlio, intriso di Spirito Santo, un rapporto sempre più profondo capace di credere all’amore che Dio ha per noi e che ci permette di entrare così in quella meravigliosa consapevolezza di essere figli amati del Padre, destinatari di un amore immeritato da parte di Dio che
Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).
In virtù di questo camminiamo sotto questo sguardo intriso di amore che è lo sguardo trinitario dove, pur rimanendo con la propria individualità, si diventa una cosa sola perché capaci di mettere da parte sé stessi e di aprirci al dono con gesti gratuiti e sovrabbondanti.
Questo è l’amore che il Signore ci insegna e ci dona di celebrare insieme e che desideriamo vivere in questa ripresa del tempo ordinario!
L’augurio per ciascuno è quello di fare ogni giorno esperienza di questo Amore, per custodire la propria unicità ed essere fecondi!!!
Carissimi giovani,
bentrovati in questo bellissimo tempo pasquale in cui il nostro cuore si prepara alla solennità della Pentecoste continuando a gridare:
“Cristo è risorto, è veramente risorto!”.
Lo sguardo ferito, forte e fedele di Gesù nei giorni della Passione si è aperto alla luce della Risurrezione e ora continua ad accompagnare, da Maestro e Amico, i passi dei discepoli… i nostri passi. Eh sì…perché la Risurrezione non avviene con uno schiocco di dita, non è un tocco magico o una monetina da inserire nel juke-box e subito parte la musica, ma ha bisogno di tempo per inondare piano piano la nostra terra e scavare solchi profondi dove far fiorire vita piena.
I discepoli sono degli esperti in questo… sentite come si chiude il Vangelo di Marco:
“Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Magdala, dalla quale aveva scacciato sette demoni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.
Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.
Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura.”. (…) Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.” (Mc 16, 9-15.19-20)
Che fatica credere alla Risurrezione!!! Eppure Gesù continua a manifestarsi, anzi sembra che più i discepoli faticano e più Lui si mostra, continua ad essere l’Amico che cammina al loro fianco rinnovando la fiducia senza stancarsi della loro incredulità. Poteva fermarsi qui? Assolutamente no! Gesù ha un unico metro di misura: l’eccedenza. Il Suo sguardo va oltre e vede in profondità, legge nei loro cuori la forza, anche se non ancora matura, di andare in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo e mette tra le loro fragili mani proprio la missione della Chiesa.
Lo sguardo del Risorto è lo sguardo di un Amico che accoglie, veglia e accompagna con cura la vita dei discepoli, si affianca, agisce con loro, ha fiducia e pazienza, consapevole che la postura pasquale si acquisisce nel tempo imparando a vedere la realtà e la vita con uno sguardo nuovo e profondo.
In questi giorni durante la preghiera apri il cuore alla lode per il dono di Gesù come l’Amico per eccellenza che ci viene a cercare, ci custodisce, ci ascolta e sostiene i nostri passi, giorno dopo giorno.
Condivido l’immagine di un’icona copta del VII secolo d. C. denominata “L’icona dell’amicizia” la cui contemplazione può aiutarci nella meditazione.
I dettagli da rilevare sono molteplici ma noi ci soffermeremo sullo sguardo.
Lo sguardo in avanti: Gesù non cammina davanti all’amico, ma al suo fianco. Entrambi guardano in avanti, verso il Padre che è la meta del desiderio di Gesù, il Figlio Unigenito, che vuole realizzare il desiderio di paternità di Dio, portando a Lui una moltitudine di fratelli.
I due occhi grandi: nell’antica tradizione il simbolo dei monaci è la civetta, le cui pupille si dilatano nella notte consentendole una vista fuori dal comune. Non a caso gli occhi dei due amici sono molto grandi a significare che la fede consente all’uomo un di più di discernimento. Effetto della preghiera è una capacità di contemplazione della storia, di visione spirituale del cosmo, di intuizione della presenza del Signore nelle creature.
Gli occhi strabici: ciascuno dei due ha un occhio leggermente piegato in direzione dell’amico, così che sia più facile “tenerlo d’occhio” e custodirlo nei suoi passi.
Carissimi giovani,
siamo giunti alla terza tappa del nostro percorso che ci sta accompagnando nella contemplazione dello sguardo di Gesù e non c’è tempo migliore della Settimana Santa, che abbiamo iniziato con la celebrazione della Domenica delle Palme, per immergerci negli occhi di un innamorato … eh sì proprio così … lo sguardo di Gesù è proprio quello dell’amore folle, di chi arriva a dare la vita per amore.
Ti sei mai chiesto perché nella Scrittura, nel libro del profeta Zaccaria, si dice:
Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Zc 12,10)? Perché ci viene chiesto di guardare Gesù crocifisso? Cosa attira il nostro sguardo? Non c’è niente di bello in un uomo che muore! O forse c’è dell’altro?
Quando guardiamo la Croce non contempliamo semplicemente la morte di Gesù ma proviamo a comprendere cosa la Sua morte dice alla nostra vita, come mai quello sguardo folle d’amore ci attira così tanto.
Per farlo ci lasciamo aiutare dai chiodi della Croce, gli stessi chiodi che Tommaso chiede di toccare al momento dell’apparizione del Risorto, perché sono la prova dell’Amore che tutto si è donato, chiodi che rappresentano tre parole, tre caratteristiche dello sguardo folle dell’Amore.
Il primo chiodo è il segno di uno sguardo paralizzato. Gesù è un uomo che non può più muoversi, che vive l’esperienza forzata di essere bloccato, proprio Lui che aveva girato in lungo e in largo lungo le strade di Israele, ora si ritrova a non poter fare più nulla.
Quante volte ti sarà capitato di sentirti bloccato, senza forze, quasi paralizzato di fronte ad eventi o situazioni della vita e per non affrontare il vuoto generato dall’impotenza rendi le tue giornate indaffarate e frenetiche?
Eppure è proprio dove facciamo esperienza del nostro limite, dove sentiamo la debolezza delle nostre forze, che ci accorgiamo che questa sofferenza è il gesto estremo dell’amore. È la passione di Gesù a rendere il Suo sguardo paralizzato perché forte dell’amore folle per noi; è la passione di chi ama facendosi carico del dolore, di chi accetta la solitudine perché altri abbiano la vita. Gesù, hai uno sguardo fermo e immobile ma il tuo patire è il gesto estremo dell’amore.
Il secondo chiodo è il segno di uno sguardo ferito. Gesù è trafitto dal male e dal peccato del mondo, si è lasciato ferire fino all’estremo.
Hai mai provato a riflettere sul coraggio di Gesù di lasciarsi ferire, di esporsi al dolore e al male lasciando che possa entrare nel profondo di sé?
Noi spesso non ci accorgiamo di quanto male possiamo infliggere, di come possiamo ferire, anche solo con un gesto, con uno sguardo, con un silenzio. Tu, Gesù, accogli e prendi su di te tutto quello che noi non riusciamo a sopportare, ti lasci ferire, trafiggere, toccare nelle profondità della carne. Eppure il Tuo sguardo ferito ci restituisce occhi di misericordia e di grazia che si riversano su di noi, sguardi di speranza contro il male. Gesù, hai uno sguardo ferito per mostrarci che dal male è possibile generare perdono e amore anziché sofferenza e rabbia.
Il terzo chiodo è il segno di uno sguardo fedele. Gesù non è voluto scendere della croce, è rimasto fedele fino alla fine. Dio non ci lascia inchiodati al male, non ci abbandona nel nostro dolore perché la fedeltà è l’essenza di Dio. È la forza dell’amore folle che non si tira indietro.
Tu hai mai avuto paura della fedeltà, della definitività? Hai mai pensato che la fedeltà vera ci chiede un amore così?
Ecco, lo sguardo fedele di Gesù ci mostra un Dio che è capace di amare dentro la fedeltà e oltre, fino al gesto estremo di morire per amore. Lui sceglie di essere per sempre dalla parte dell’uomo, per sempre fedele alle sue promesse, per sempre abbandonato con fiducia nelle mani del Padre. E tu sei disponibile a fare spazio ad un amore così nella tua vita? Sei disposto, a tua volta, a provare ad amare nello stesso modo?
Uno sguardo paralizzato per dirti “Ti amo talmente tanto da dare la vita per te”; uno sguardo ferito per dirti “Ti amo talmente tanto che riesco a guardarti solo con occhi di misericordia”; uno sguardo fedele per dirti: “Ti amo talmente tanto che sarò sempre con te”. Gesù lascia che alla croce vengano inchiodate queste parole perché diventino sigilli per il nostro cuore. Sarà la potenza della Risurrezione a trasformare quei chiodi in fori, a farli diventare varchi da cui sgorga la gioia di un Amore talmente grande da sconfiggere la morte perché
Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione (Ct 8,6).
La nostra vita è trasformata e redenta, i chiodi sono ora passaggi che dischiudono orizzonti di cielo e di eternità.
Contempliamo allora l’Amore di Colui che ci ama così follemente e testimoniamo al mondo che Cristo morto e risorto per amore nostro è la pienezza della nostra gioia!
Buona Pasqua e buona Risurrezione a tutti!!!
Qui sotto trovate alcuni link per continuare a camminare insieme alla Luce del Risorto.
Bentrovati cari giovani! Siete pronti a cominciare questo viaggio alla luce dello sguardo di Gesù?
Abbiamo anche un’arma in più: la Quaresima! Per carità…non pensiamo subito alla penitenza o a quanti “fioretti” possiamo fare!!! Spesso, così, nutriamo solo il nostro ego perché basiamo tutto su ciò che “io” scelgo, che “io” faccio; la Quaresima è, invece, il tempo di Dio, tempo di conversione, di cambiamento di direzione, di prospettiva, di sguardo, per leggere e abitare situazioni, eventi, relazioni con lo stesso sguardo di Gesù. È una sfida decisamente ardua…ma quanto sarebbe bello se, dopo questi giorni, vivessimo la meravigliosa esperienza di sentirci guardati da Gesù come solo Lui sa fare!
Lasciamoci accompagnare da un celebre passo del Vangelo di Giovanni (Gv 1,35-42) tutto giocato sugli sguardi più che sulle parole…perché non è una “questione di feeling”, come cantavano Cocciante e Mina, ma è puramente una questione di sguardi!
Il giorno dopo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì- che tradotto significa maestro -, dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa – che significa Pietro».
In otto versetti, sei riferimenti allo sguardo… ma che occhi ha Gesù?
Il verbo greco, tradotto con “fissare lo sguardo”, significa proprio guardare con intensità, con penetrazione, perché gli occhi di Gesù sono occhi che accarezzano e che scendono in profondità centrando proprio la domanda che ti porti dietro: “Che cosa cercate?”. Gesù non dà soluzioni o definizioni impacchettate ma inizia e finisce con le domande, interrogativi che danno voce a quello che ti abita il cuore, che scende dentro i tuoi desideri più veri e più intimi.
In questo tempo di Quaresima lasciati interrogare da questa domanda: “Tu che cosa stai cercando? Chi stai cercando?”. Solo scavando a fondo nel cuore, senza paura, arriverai a Gesù, a quegli occhi penetranti che ti rivelano la verità di te! Per i discepoli è stato subito così, è bastato sentirsi guardati da Gesù per rispondere con quell’apparente domanda, “Dove abiti?” che, in realtà, vuol dire: “Cerchiamo te, Gesù, vogliamo stare un po’ con te, conoscere il tuo cuore, i tuoi sogni, le tue emozioni”.
Fermarsi e guardarsi! In una società come la nostra, tutta protesa alla fretta, alla produzione e all’efficienza, pensate quale grande conversione, quale grande cambiamento apporterebbe nel nostro modo vivere la vita, la fede, la testimonianza. In questo passo del Vangelo non si racconta nessun miracolo, nessun prodigio, nessuna parola sui discorsi fatti in casa…non c’è bisogno… è sufficiente il primato dello sguardo di Gesù e dello sguardo dei discepoli!
In questo tempo di grazia, quindi, accogliendo anche un invito di Madre Chiara, concediti questo regalo: il primato dello sguardo di Gesù che incontra il tuo e del tuo che incontra il Suo!
Guarda di frequente il Crocifisso:
occhi dell’Amore tutto donato, anche solo per cinque minuti al giorno, perché questo farà molto bene alla tua anima, al tuo cuore, alla tua vita.
Vi lascio con un piccolo aneddoto tratto dalla vita di S. Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars.
Nella vita del Santo Curato d’Ars si racconta di un contadino che, ogni giorno e alla stessa ora, entrava nella chiesa parrocchiale, e si sedeva nell’ultimo banco. Non aveva libri di preghiere con sé perché non sapeva leggere; non aveva tra le mani nemmeno la corona del rosario. Ma ogni giorno, alla stessa ora, arrivava in chiesa e si sedeva nell’ultimo banco…e guardava fisso il Tabernacolo. San Giovanni Maria Vianney, incuriosito da quel modo strano di fare, dopo aver osservato quel suo parrocchiano per qualche giorno, gli si avvicinò e gli chiese: “Buon uomo…ho osservato che ogni giorno venite qui, alla stessa ora e nello stesso posto. Vi sedete e state lì. Ditemi: cosa fate?”. Il contadino, scostando per un istante lo sguardo dal Tabernacolo rispose al parroco: “Nulla, signor parroco…io guardo Lui e Lui guarda me”. E subito, riprese a fissare il Tabernacolo. Il santo Curato d’Ars descrisse quella come una tra i più alti segni di fede e di preghiera.
È bastato solo un semplice sguardo
Per capire che
Che nei tuoi occhi io mi stavo perdendo
Senza capire il perché
Sensazione che io non provavo da tempo
E che ora vivo per te
Che prendi posto nei miei pensieri toccando
Tutti i miei punti più deboli, accarezzandoli
Come se fossero desideri irraggiungibili…
Partendo dalle parole di una canzone dei Modà dal titolo “Oltre un semplice sguardo” iniziamo insieme questo itinerario che quest’anno ci porterà alla scoperta dello sguardo di Gesù. Avete mai pensato o fatto esperienza della potenza che un semplice sguardo può avere sulla nostra vita o su quella di un’altra persona? A volte sono sguardi semplici, cordiali, altre volte possono essere giudicanti o severi… ma quanto è bello essere guardati in profondità, tanto da sentirci accolti e accarezzati anche in quelle zone deboli e fragili, dove non permettiamo a nessuno di entrare?!?!
Gesù compie spesso questo gesto, spinto unicamente dal desiderio di volerci guardare e incontrare nella nostra verità e nella nostra bellezza più profonda; guarda negli occhi i ricchi, i potenti, i peccatori, le prostitute, i ladri, i poveri, gli ammalati, gli invisibili, i bambini. Quante volte abbiamo provato ad immaginare i Suoi occhi chiedendoci quale fosse la loro trasparenza, la loro forza attrattiva, la loro capacità di leggerci dentro!! Lo sguardo di Gesù è l’alfabeto principale attraverso cui passa l’Amore. Come l’alfabeto non è fine a sé stesso (dal momento che le lettere vanno oltre il loro singolo valore e sono strumento con il quale formuliamo delle parole, e con le parole comunichiamo in ogni circostanza e in ogni luogo), allo stesso modo la profondità dello sguardo di Gesù è l’alfabeto dell’Amore perché non è fine a sé stesso, non si ferma ad osservarci ma ci accoglie, ci perdona, ci guarisce, ci consola, ci chiama, ci salva, ci rinnova, ci compatisce, ci benedice: è capace di andare sempre oltre.
Pensiamo alla chiamata di Matteo (Mt 9,9): Gesù vede certamente un pubblicano, come tutti, ma anche un discepolo, un potenziale apostolo, perché il Suo sguardo su di noi è capace di amare la realtà e di comprenderla secondo una profondità integra e piena: Gesù vede la verità nascosta delle cose. In Lc 19,1-10 Gesù incontra Zaccheo: Gesù lo vede arrampicato sul sicomoro, lo chiama e lo invita a scendere. Tutti vedono in Zaccheo solamente un peccatore e si scandalizzano della scelta di Gesù; Zaccheo, invece, si alza, dà metà dei suoi beni ai poveri e restituisce quattro volte la somma frodata. Ritroviamo questa profondità di sguardo nel brano della guarigione della donna curva (Lc 13, 10-17) in cui l’iniziativa è ancora una volta tutta Sua. Lui la vede, si accorge dell’oppressione nella quale era intrappolata e se ne prende cura, la chiama e la guarisce, mentre tutti contestano perché opera miracoli in giorno di sabato, fermandosi alla pura trasgressione della Legge. Ugualmente, quando Gesù vede molta folla prova compassione e si commuove perché “erano come pecore senza pastore” (Mc 6,34). Potremmo fermarci al movimento disordinato della folla o al suo essere inopportuna perché Gesù si era ritirato per riposare e pregare, eppure Lui va oltre, vede delle pecore lasciate allo sbando e se ne preoccupa.
E noi? Ci sentiamo guardati da Dio? Come pensiamo che ci veda? Quali sono le zone d’ombra che ci portiamo dentro, dove solo il Suo sguardo può riversare fiumi di grazia? In questo itinerario lasciamoci accompagnare da queste domande e scopriremo che gli occhi di Gesù sulla realtà, su di noi, vedono, leggono e scrutano la nostra bellezza, la nostra sofferenza, la nostra verità, superano l’apparenza e guardano tutto dalla prospettiva di Dio perché il Suo sguardo è profondità, il Suo sguardo è tenerezza, il Suo sguardo è Amore.
Trascrivo uno stralcio del libro di don Luigi Verdi “Dio guarda il cuore” che credo possa aiutare la preghiera personale e la riflessione sullo sguardo di Gesù.
Dopo che ci hai partorito e rivestiti di bellezza, il settimo giorno ti sei fermato per guardarci meglio, per starci vicino, perché sapevi che il dono più grande che si può fare a chi si ama è l’intimità. Per questo da allora stai sempre in attesa di qualcuno che con te pianga, con te insieme veglia.
Il tuo luogo è senza soglie, né porte, è come un albero con le radici nell’eterno e i rami all’infinito. Abiti nella nuda dimora in cui termina il cammino e si apre lo spazio tra la veglia e il sonno, tra il silenzio e la parola, fra me e la coscienza di me.
Tieni sulle spalle il mio sacco di speranze che nel bisogno mi doni come pane e mi pongono al sicuro nelle tue braccia che riparano.
Hai amato i passi tremanti di Adamo e di Eva, il dolore di Agar che nemmeno il latte del pianto poté dare al suo Ismaele, il fuggire di Caino e il grido di Abele. Tu dietro ai loro occhi, ai loro respiri, al loro corpo, alla loro luce, donando ad ognuno una parola sussurrata, un messaggio di sguardi, una promessa.
Tu come una mamma inciampi di tenerezza per me, stai sempre al mio fianco anche se tutto mi abbandona e quando il dolore diventa un muro dove nessun fiore attecchisce, Tu su quel muro ti fai vedetta perché nessuno sia dimenticato e solo. A Te appartengono le uscite della morte e delle lacrime che nutrono di dolcezza il silenzio del dolore. A Te appartengono la misericordia e la tenerezza, la pietà abbracciata alla terra, la luce mischiata al dolore.
Sei caduto sopra il mondo come un bacio, senza chiedermi preghiere ma solo fiducia.
In Te il mio cuore smetterà di vagare, troverà un posto in cui fermarsi senza più il desiderio di partire. Con Te avrò il sapore del pane che spezzerai, il calore del fuoco che accenderai, la forza della vita che mi donerai, la dolcezza dell’amore che mi regalerai, la leggerezza dell’amicizia che mi offrirai.
Caro giovane, prima di iniziare un percorso nuovo che ci accompagnerà lungo tutto il 2022, ci lasciamo cullare ancora un po’ dalla ricchezza e dolcezza del Natale, dal Mistero di un Dio Bambino, l’Emmanuel.
Uno dei tratti di Dio che più mi ha colpito contemplando il Mistero del Natale è il tratto della luce. Ricordate il Vangelo del giorno di Natale?
1In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio…
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
6Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo[1].
Per ben 6 volte viene ripetuta la parola luce. E questo annuncio è stato proclamato più volte nei giorni successivi al Natale, in particolare nella Prima Lettera di Giovanni:
Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna[2].
Dunque, un tratto importante della vita di Dio è proprio la luce. Dio si è fatto Carne, si è fatto uomo per portare la luce sulla terra, per illuminare ogni uomo.
Se dunque Dio è luce ed è venuto ad illuminare la tua vita, allora significa che ti chiama a camminare nella luce: la vocazione di ogni cristiano è proprio quella di camminare, cioè vivere, nella luce, e non nelle tenebre. Che cosa significa concretamente questo? Che cosa dobbiamo fare per camminare nella luce, per essere figli della luce?
Lo stesso Giovanni ci viene in aiuto. Nella sua Prima Lettera, troviamo proprio una sezione intitolata “Camminare nella luce”:
5Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. 6Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. 7Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato[3].
Poi Giovanni prosegue indicando alcune condizioni che permettono all’uomo, quindi anche a te, di camminare nella luce, cioè di vivere come Dio.
8Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. 9Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. 10Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi[4].
– Il primo passo che sei chiamato a fare è riconoscere la verità di ciò che sei: peccatore. Un uomo, una donna, cioè, feriti dal peccato. Gesù direbbe: chi è senza peccato scagli la prima pietra… Quindi riconosci con umiltà che non sei impeccabile, che non agisci sempre per il bene. Giovanni ci dice molto francamente: “riconosci i tuoi peccati”.
Ma, attenzione, riconoscili nella certezza che Dio, nel suo Figlio Gesù, ti perdona ogni peccato: sei figlio di Dio, quindi peccatore, sì, ma amato! Perdonato! Giustificato!
Come fare a riconoscere i peccati, cioè le tenebre che mi abitano?
Chiedi allo Spirito Santo di illuminare la tua mente perché tu possa fare verità, e poi chiediti:
Questa situazione che sto vivendo porta vita in me e negli altri oppure no? O addirittura toglie vita?
Questa situazione è chiara o ambigua?
Mi porta a stare nella verità o mi porta a stare nella bugia, nella menzogna?
Questa situazione mi dà pace o mi mette agitazione continua?
Mi dà la libertà vera o me la toglie, a me e a chi è coinvolto con me in questa situazione?
– E, dopo aver riconosciuti i tuoi peccati, dopo averli confessati (non è passato di moda il sacramento della Confessione!!!) decidi di cambiare rotta. Come? Scegliendo il bene, scegliendo la via del bene e percorrendola. Anche questo non è frutto solamente della tua buona volontà e del tuo impegno: invoca il dono dello Spirito perché ti dia il coraggio di rompere con il peccato, accresca in te il desiderio del bene: Spirito Santo, donami la sapienza per avere il gusto delle cose buone, vere e belle. Vieni, Spirito Santo e guidami sulla via della vita, sulla via della luce! Rafforzami sulla via del bene!
9Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. 10Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. 11Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi[5].
L’odio, ci dice Giovanni, acceca gli occhi perché è tenebra. L’amore, invece, permette di camminare nella luce e di non inciampare. Allora, lì dove il tuo cuore è abitato dall’odio, dal rancore, dalla voglia di vendetta…invoca lo Spirito Santo: Spirito Santo, vieni nel mio cuore e placalo; ma vieni anche nel cuore di N. e riempilo di te!
Non dipende dalle tue forze il passare dall’odio all’amore. Il nostro cuore non ce la fa da solo, ma se abitato da Dio, dal suo Spirito, piano piano viene trasformato e se anche non arriverà ad amare quella persona, non sarà però più soggiogato dall’odio: sarà libero dalle catene delle tenebre.
Ma scegli anche concretamente situazioni in cui il tuo cuore impara a decentrarsi, a fare spazio per altri. Scegli un tempo, magari un giorno a settimana…, in cui doni il tuo tempo e le tue energie a servizio dei poveri: informati se nella tua città c’è la mensa dei poveri, se ci sono associazioni che si occupano degli ultimi, dei senza tetto, oppure chiedi al tuo parroco se ci sono persone sole che hanno bisogno di un po’ di compagnia. E mettiti a servizio. Da fratello minore, da sorella minore, non da super-eroe.
E questo dilaterà il tuo sguardo e il tuo cuore! E ti aiuterà a sconfiggere i nemici del dono: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo[6].
15Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; 16perché tutto quello che è nel mondo – la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita – non viene dal Padre, ma viene dal mondo. 17E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno[7]!
Cosa intende Giovanni quando parla di “mondo”? Intende tutto ciò che non segue la logica di Dio, ma la logica degli uomini, una logica sottomessa al potere del Maligno, di Satana. La logica del profitto, del guadagno a tutti i costi, la logica del piacere fine a sé stesso, la logica del tutto e subito, la logica del compromesso con il male (“Che male c’è?”), la logica della furbizia per fregare l’altro, la logica di una vita facile, la logica della menzogna, la logica dei risultati, la logica del più forte, la logica del fare finta di niente di fronte al male, la logica dell’indifferenza… Questa, ed altro ancora, è la logica delle tenebre! Non è la logica di Dio che è luce!
Chiedi aiuto allo Spirito Santo: Vieni, Spirito Santo, trasforma la mia mente, la mia mentalità. Conformala alla mentalità del Vangelo!
22Chi è il bugiardo se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L’anticristo è colui che nega il Padre e il Figlio. 23Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il Padre.[8]
Chi è l’anticristo? È colui che nega Dio, il Dio della rivelazione, il Dio di Gesù Cristo. Colui che ti dice: lascia stare la fede, credi ancora al Vangelo? Non è che un’invenzione, l’oppio dei popoli… Qualcuno lo fa in forma leggera, magari prendendoti semplicemente in giro per le scelte cristiane che fai. Qualcuno invece lo fa in maniera violenta, forte, opponendosi a te e al Vangelo con prepotenza e arroganza. Ecco, Giovanni ti dice:
26Questo vi ho scritto riguardo a coloro che cercano di ingannarvi. 27E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca. Ma, come la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così voi rimanete in lui come essa vi ha istruito[9].
Combatti la menzogna dell’anticristo, del Menzognero rimanendo in Dio e nell’incontro che hai fatto con Gesù Cristo. E se ancora non l’hai incontrato, invocalo: Signore Gesù, che io ti possa incontrare!
Ed è lo Spirito Santo, con cui sei stato unto, che ti insegna la via di Dio, la via della luce. È lo Spirito Santo che ti istruisce nella via della verità. È lui che ti condurrà alla verità tutta intera, e la verità è Cristo: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Da solo non arriverai mai alla verità!
E allora invoca: Vieni Spirito Santo, e rendi saldi i miei passi sulla via della fede, sulla via della verità.
Ecco come camminare nella luce. Come vivere alla maniera di Dio che è luce. E piano piano ti ritroverai a vivere quella parola di Gesù che dice: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14), non “sarete luce se…” ma “siete già”, dal giorno del vostro battesimo, dal giorno in cui lo Spirito Santo abita in te, e quindi tu puoi vivere come Dio. Ricordati: tu sei luce! Ma sei anche chiamato ad essere luce, attraverso le tue scelte quotidiane. Sì, perché Dio non ti costringe ad essere luce, rispetta la tua libertà provocandoti però al bene.
Un ultimo passaggio
Gesù non dice solamente “Voi siete luce”, ma continua:
14…non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli[10].
Ecco il mandato missionario di ogni cristiano, di ogni battezzato: essere luce per il mondo, per illuminare la vita dei fratelli e delle sorelle, a partire da quelli più vicini a te, da quelli di casa tua. Non perché diano gloria e onore a te, ma al Padre che è nei cieli, lo stesso Padre da cui è arrivata a noi la Luce vera, quella che illumina ogni uomo: Gesù Cristo.
Allora inizia questo nuovo anno con questa consapevolezza: Dio è luce, e per mezzo del suo Spirito che abita in te rende anche la tua vita luce, chiedendoti di compiere delle scelte concrete di luce:
rompere con il peccato, vivere la carità, guardarsi dal mondo, guardarsi dall’anticristo.
Allora sarai luce che illumina la vita dei fratelli e delle sorelle che incontri.
Come Maria, la Madre di Dio. Lei si è lasciata raggiungere dalla luce di Dio accogliendo la Parola dell’Angelo. Maria ha creduto alla promessa di Dio e ha scelto di fidarsi, di aderire a quella Parola-Promessa. E la sua vita, per opera dello Spirito Santo, si è riempita di luce, si è riempita della Luce, Gesù. E non l’ha tenuta per sé: l’ha data alla luce, l’ha data al mondo, all’umanità, l’ha data a te.
Dio, con te, vuole fare la stessa cosa. Lasciati raggiungere, lasciati trasformare dallo Spirito Santo. E sii luce.
Buon 2022!
[1] Gv 1,1.4-9
[2] 1 Gv 1,5
[3] 1 Gv 1,5-7
[4] 1 Gv 1,8-10
[5] 1 Gv 2,9-11
[6] Cfr. Omelia del Santo Padre Francesco, Santa Messa nella Solennità di Pentecoste, 31 Maggio 2020.
[7] 1 Gv 2,15-17
[8] 1 Gv 2,22-23
[9] 1 Gv 2,26-27
[10] Mt 5,14-16
“State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!” (Mc 13, 33-37)
Entriamo nel tempo dell’Avvento (adventus, venuta), ascoltando le ultime parole del discorso escatologico di Gesù nel vangelo secondo Marco. Nell’anno B, che ci troviamo a vivere, le prime due domeniche di questo tempo liturgico sono orientate alla riflessione sulla seconda venuta del Signore, quella finale; mentre le seconde due sono invece dedicate alla preparazione della venuta storica di Gesù di Nazareth nel suo Natale
Un discorso, quello proposto dalla liturgia, che Gesù aveva iniziato rivolgendosi ai quattro discepoli chiamati per primi e più coinvolti nella sua vita – Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea (cf. Mc 13,3-4) –, e che ora egli termina indirizzandosi “a tutti”, con un’esortazione impellente: “Vegliate!”. Questo imperativo appare nel nostro brano come un ritornello incessante.
Ma cosa significa vegliare?
Vuol dire “stare svegli”, stare con gli occhi aperti, “fare attenzione”, come traduce la versione italiana. È la postura della sentinella che veglia, lottando contro il sonno e soprattutto contro l’intontimento spirituale; che tiene gli occhi ben aperti e scruta l’orizzonte per cogliere chi e che cosa sta per giungere. Vegliare è un esercizio faticoso, perché in esso occorre impegnare la mente e il corpo, ma è un esercizio generato e sostenuto da una speranza salda: c’è qualcuno che giunge, qualcuno che è alla porta; qualcuno che, amato, invocato, ardentemente desiderato, sta per venire.
“L’attenzione è la prima forma d’amore, è la manifestazione più pura della generosità” diceva Simone Weill, e non è un caso che sanno vegliare soprattutto le sentinelle e gli amanti…
Il Signore verrà «Alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino» (v. 35): queste quattro indicazioni cronologiche indicano la suddivisione delle ore della notte presso i Romani in quattro veglie (corrispondenti ai quattro turni di guardia — o «vigiliae» — delle sentinelle dalle 18 alle 6 del mattino). Colpisce che secondo questa parabola il momento del ritorno del padrone sarà nella notte. Tempo in cui occorre tenere gli occhi ben aperti, in cui è più difficile non lasciarsi sopraffare dal sonno, in cui occorre lottare contro la pesantezza del corpo e dell’animo. In cui più che mai si deve attuare la vocazione dei cristiani ad essere luce.
La notte è simbolo di tempi bui, di tenebre interiori e storiche, personali e comunitarie, civili ed ecclesiali. La venuta del Signore non le abolisce, ma è proprio in esse che egli viene già oggi, nel quotidiano della vita. Si tratta di abitare la notte acuendo lo sguardo spirituale, lottando contro la pigrizia. La notte è questo tempo, è il nostro oggi, il tempo della pandemia. L’attesa della venuta del Signore diviene così sforzo di discernimento dei segni della sua presenza lì dove siamo.
La vigilanza richiesta vuole condurre l’uomo a essere all’altezza della propria umanità e della propria fede. La vigilanza è fedeltà alla terra nella piena coscienza di essere alla presenza di Dio. La vigilanza nasce da un’unificazione della persona di fronte al Signore che la conduce a essere lucida, presente a se stessa, alla realtà, agli altri.
La vigilanza è una scelta, una responsabilità di tutti i cristiani, che non può essere delegata all’uno o all’altro: «Quello che dico a voi lo dico a tutti: vigilate!» (v. 37).
La vigilanza è la matrice di ogni virtù cristiana, un padre del deserto ha affermato: «Non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante» (abba Poemen).
Non ci resta allora che incamminarci in quest’attesa chiedendoci: Cos’è oggetto della mia attenzione? Sono sveglio o il torpore dell’indifferenza e dello sconforto mi hanno ingabbiato? Come voglio essere trovato in questo Avvento dal Signore che viene? Con parole di luce o con lamenti di sonno? Con generosi gesti di carità nelle mani o con il corpo ingordo sdraiato sul divano?
Ci sia compagna nell’andare la poesia Veglia di Ungaretti, scritta il 23 dicembre 1915 al fronte, in piena Prima guerra mondiale; il Signore ci conceda di scoprirci, come il poeta, amanti presenti e generosi, capaci di scrivere con la vita in ogni situazione “parole piene d’amore”
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
1 Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2 si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. 3 Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
4 Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5 Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6 Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. 7 Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare. 8 Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri.
9 Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10 Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso or ora». 11 Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. 12 Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore.
13 Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. 14 Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.
15 Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16 Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». 17 Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle. 18 In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». 19 Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi».
20 Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». 21 Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e lui?». 22 Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi». 23 Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?».
24 Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. 25 Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.
Intorno ad un altro fuoco, nell’incontro mattutino sulla riva dello stesso lago dove tutto era cominciato, il Risorto si manifesta a Pietro e agli altri nell’evento della pesca straordinaria e nel pasto preparato da Lui. In quel momento avviene la riabilitazione di Pietro: “Mi ami tu?” “Pasci le mie pecore”. E dopo avergli predetto l’abbandono fiducioso che sarà chiamato a vivere in vecchiaia, gli dice: “Seguimi!”
Se nella prima passione Gesù gli aveva detto che ancora non poteva seguirlo, ora finalmente è possibile: come se ciò che ancora mancava nella sua formazione non era la prova della fedeltà, ma l’esperienza della sua caduta, l’esperienza dell’incapacità di contare sulle proprie forze, quella della fragilità e della paura, l’esperienza del peccato e del perdono. In una parola l’esperienza della misericordia! Pietro si accorge che Gesù non si aspettava da lui che diventasse forte, ma che accettasse di essere debole e che proprio con quella debolezza iniziasse a seguirlo. Ora può, perché cosciente di essere debole, cosciente che la debolezza non è l’ostacolo ma un luogo in cui esercitare l’abbandono fiducioso nelle mani del Signore. Da questo atteggiamento nasce l’apostolo: quando egli si rende conto che Gesù, invece di revocare la sua chiamata, gli conferma la sua fiducia, addirittura gli dà un compito più grande. Ecco la seconda chiamata di Pietro, che ogni discepolo di Gesù può sperimentare. Gesù non sceglie di chiamare qualcuno perché affidabile, stabile, fedele… anzi, prende uno come Pietro che si dimostra fragile, come la sabbia, perché nell’esperienza della misericordia, diventi roccia in Lui.
La storia di Pietro e della sua chiamata è paradigmatica del nocciolo del Vangelo. Non sei amato perché con le tue risorse sei degno di esserlo, ma sei amato perché tu divenga amabile…
Qual è il problema di Pietro? La sua difficoltà è quella di non riuscire ad adeguarsi all’atteggiamento del Messia, servo sofferente. Egli si trova spiazzato dinanzi all’agire di Gesù! Si scopre fragile, debole: lui che è conosciuto come il forte, l’uomo risoluto, coraggioso, capace di prendere decisioni, di assumersi responsabilità, si scontra con l’amara esperienza di non poter confidare nella propria forza e coraggio. Da un lato c’è un autentico attaccamento a Gesù, la sua amicizia è forte, come è sincero il desiderio di stare con lui, dall’altro deve fare i conti con le sue paure.
Queste componenti emergono nell’esperienza del rinnegamento, riportata dai quattro Vangeli. Mentre Gesù è interrogato dal sinedrio, Pietro lo segue da lontano, poi entra nel cortile, si scalda al fuoco insieme ad altri servi; qui una serva lo riconosce come uno dei seguaci di Gesù ma, per tre volte egli nega: “Non conosco quest’uomo”. E subito per la seconda volta un gallo cantò… Pietro si ricordò della parola detta da Gesù: “Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai”. E scoppiò in pianto. Nonostante le promesse di fedeltà, Pietro rinnega l’amico che in quel momento è abbandonato, rifiutato, condannato. Nel momento in cui consapevolizza questo, scoppia in un pianto irrefrenabile: prevale la vergogna, la rabbia contro sé stesso, l’esperienza della miseria e del fallimento. Quella bugia: “Non conosco quell’uomo” in realtà è una verità: Pietro non aveva ancora conosciuto Gesù e cosa significasse stare dietro a lui, essere suo discepolo. In quel pianto di pentimento che sgorga dal profondo di sé, c’è il segno di una sorgente che inizia a sgorgare: lì nasce l’apostolo. Così Pietro esce dalla scena della Passione; lo incontreremo faccia a faccia con il Risorto…